• La storia •
Tratto da: Profilo storico di Gazzada Schianno di Gianazza
L’inadeguatezza del luogo di culto a loro disposizione, la chiesa di S. Bernardino, indusse i parrocchiani di Gazzada, sollecitati dall’Arcivescovo milanese, ad iniziare nel 1580 la costruzione di una nuova chiesa dedicata all’esaltazione della Croce.
Ultimata verso la fine del secolo, alla nuova chiesa dalla pianta a croce latina, sormontata da un tiburio (elemento architettonico che racchiude al suo interno una cupola proteggendola), in modo tale da farla apparire come una costruzione di tipo bramantesco, benchè dotata originariamente di poche suppellettili, la nuova chiesa potè conseguire, con il consenso dell'Ordinario milanese, il titolo di parrocchiale.
Solo col tempo potè arricchirsi di tre altari, uno centrale e due laterali. Il primo fu abbellito di marmi, pilastrini a colonne, angeli e cherubini, ornamenti in bronzo e rame, per interessamento del Perabò, segretario generale del Ducato milanese, che si valse della collaborazione dell'incisiore Gianzini Filippo, nel 1774.
L'altare laterale di destra originariamente eretto in onore di S. Orsola, arricchito con grandi modanature di stucco, fu in seguito consacrato a S. Antonio di Padova, raffigurato in atteggiamento estatico in un dipinto su tela.
Posteriore è invece la cappella del lato destro dedicata alla Vergine del Rosario e completata in stile neoclassico, nel 1826, da Agostino Albizzola e Angelo Maria Argenti di Viggiù.
L'icona raffigurante la Vergine, in atto di sgranare il Rosario, risale al sec. XVII, mentre l'istituzione della Confraternita del Rosario risulta anteriore alla visita di S. Carlo del 1574.
La chiesa potè valersi dell'appoggio finanziario e morale di diversi fedeli coadiuvati dalle competenti autorità religiose. Tra i primi benefattori emerge la figura di G. Paolo Aliprandi che, prima di morire, nel 1649, legò alla chiesa una Messa quotidiana e una settimanale da celebrarsi in parrocchia secondo la volontà raccolta dal notaio di Varese, Francesco Rancati, come è ricordato nella lapide:
D.O.M
IO. PAULUS ALIPRANDUS
OBIT ANNO MCDXXXXVIIII
DIE DECIMA NONA NOVEMBRIS
QUI LEGAVIT MISSAM UNAM
QUOTIDIANAM ET
ALTERAM HAEBDOMADARIAM
IN HAC PAROE CELEBRAN:
UN PATET EX TESTAMENTO
CONDITO PER PETRUM FRANCISCUM
RANCATUM NOTARIUM VARISII
ANNO SOPRADICTO
DIE XVIII OCTOBRIS
La sua azione fu continuata dalla moglie Isella Streppi che, rimasta vedova, prima di rimaritarsi, istituì erede di alcuni beni la parrocchiale della Gazzada, riservandosi il giuspatronato e con il carico della Scuola de SS. Sacramento di far celebrere una Messa quotidiana all'interno della Chiesa.
Dopo una lunga contesa per le disposizioni testamentarie dell'Aliprandi e della Streppi risolta a lustro e decoro della chiesa grazie all'interessamento di autorevoli personaggi locali e la meditazione delle più alte cariche religiose. Tra i primi conviene ricordare Francesco Baratelli grazie al cui interessamento, Gazzada potè avere dal pontefice Paolo V numerose reliquie. Ulteriori reliquie furono concesse il 13 novembre 1620.
Espressione popolare fin dai primi tempi del cristianesimo, il culto delle reliquie si è protratto fino all'epoca moderna, né si può dire sia del tutto tramontato neppure ai nostri giorni. Si credeva nelle facoltà miracolose delle reliquie e si tribuiva loro una serie di pratiche religiose dopo il trasporto, a volte, dal leggendario Oriente in maniera che aveva del favoloso.
Capelli, denti, ossa di santi erano i resti più apprezzati, ma erano disegnatianche brandelli di stoffa tratti dai vestiti indossati dai personaggi religiosi più in vista. Nessuna reliquia poteva però essere messa a confronto con la vera Croce, la più preziosa tra le memorie santificate da Cristo. Una collezione di reliquie in cui mancasse una scaglia della Croce per eccellenza, scadeva nella considerazione e nella valutazione, perchè costituiva in Europa un vero e proprio veicolo di proselitismo (è l'opera di chi cerca di fare dei proseliti, ovvero cerca di convertire o coinvolgere altri individui a una certa religione o altra dottrina).
Comprensibile perciò fu la devozione loro dedicata e l'interesse prodigato a tutto il 1742 dal parroco Francesco Martinelli per ottenere l'autorizzazione a togliere le anzidette reliquie dalle antiche custodie rovinate dal tempo e racchiuderle in sei reliquiari in legno, adorni di lamine d'argento.
Punto di riferimento era sempre la chiesa di S. Croce, per un migliore funzionamento della quale il card. Federico Borromeo emanò, nel 1610, una serie di decreti, dopo la visita di don Carlo Andrea Basso, prevosto di Angera e vicario foraneo, per l'integrazione della suppellettile, per una migliore conservazione delle reliquie, per il trasporto del battistero dalla vecchia parrocchiale di S. Bernardino, per dotazione decorosa degli altari.
In S. Croce meglio risulta l'arte pittorica di Montanari e Morgari, che hanno trasformato in «una gloria di colori e di figlure la cupola e le volte già desolatamente squallide» della chiesa, cantando «attraverso la musica meravigliosa dei colori e delle artistiche che loro concezioni il poema divino della Croce, alla cue esaltazione la Parrocchia è consacrata».
Merita inoltre di essere ricordata l'operazione altare trasportato durante l'ampliamento della chiesa, avvenuto nel 1959. La parte mensa è stata staccata dal corpo principale ed è stata completata, dopo la riforma liturgica, in modo da formare un corpo unico con altri marmi, in gradevole accostamento di toni grigi e rosa antico. Infine non si può dimenticare tutta l'opera di restauro attuata, nel 1982, con particolari accorgimenti tecnici da parte di Pietro Vignala, in modo da dare smalto e lucentezza alle cornici lasciate nella for-ma originaria. Prospetticamente rivolti al richiamo della croce, tutti i personaggi delle varie composizioni evidenziano profonda spiritualità, al cui risalto giova il gusto di forme drammatiche concepite, robustamente costruite in una cupa atmosfera, che non attenua la ricchezza della stanza cromatica, anzi la rende più risaltante.
Ultimata verso la fine del secolo, alla nuova chiesa dalla pianta a croce latina, sormontata da un tiburio (elemento architettonico che racchiude al suo interno una cupola proteggendola), in modo tale da farla apparire come una costruzione di tipo bramantesco, benchè dotata originariamente di poche suppellettili, la nuova chiesa potè conseguire, con il consenso dell'Ordinario milanese, il titolo di parrocchiale.
Solo col tempo potè arricchirsi di tre altari, uno centrale e due laterali. Il primo fu abbellito di marmi, pilastrini a colonne, angeli e cherubini, ornamenti in bronzo e rame, per interessamento del Perabò, segretario generale del Ducato milanese, che si valse della collaborazione dell'incisiore Gianzini Filippo, nel 1774.
L'altare laterale di destra originariamente eretto in onore di S. Orsola, arricchito con grandi modanature di stucco, fu in seguito consacrato a S. Antonio di Padova, raffigurato in atteggiamento estatico in un dipinto su tela.
Posteriore è invece la cappella del lato destro dedicata alla Vergine del Rosario e completata in stile neoclassico, nel 1826, da Agostino Albizzola e Angelo Maria Argenti di Viggiù.
L'icona raffigurante la Vergine, in atto di sgranare il Rosario, risale al sec. XVII, mentre l'istituzione della Confraternita del Rosario risulta anteriore alla visita di S. Carlo del 1574.
La chiesa potè valersi dell'appoggio finanziario e morale di diversi fedeli coadiuvati dalle competenti autorità religiose. Tra i primi benefattori emerge la figura di G. Paolo Aliprandi che, prima di morire, nel 1649, legò alla chiesa una Messa quotidiana e una settimanale da celebrarsi in parrocchia secondo la volontà raccolta dal notaio di Varese, Francesco Rancati, come è ricordato nella lapide:
D.O.M
IO. PAULUS ALIPRANDUS
OBIT ANNO MCDXXXXVIIII
DIE DECIMA NONA NOVEMBRIS
QUI LEGAVIT MISSAM UNAM
QUOTIDIANAM ET
ALTERAM HAEBDOMADARIAM
IN HAC PAROE CELEBRAN:
UN PATET EX TESTAMENTO
CONDITO PER PETRUM FRANCISCUM
RANCATUM NOTARIUM VARISII
ANNO SOPRADICTO
DIE XVIII OCTOBRIS
Dopo una lunga contesa per le disposizioni testamentarie dell'Aliprandi e della Streppi risolta a lustro e decoro della chiesa grazie all'interessamento di autorevoli personaggi locali e la meditazione delle più alte cariche religiose. Tra i primi conviene ricordare Francesco Baratelli grazie al cui interessamento, Gazzada potè avere dal pontefice Paolo V numerose reliquie. Ulteriori reliquie furono concesse il 13 novembre 1620.
Espressione popolare fin dai primi tempi del cristianesimo, il culto delle reliquie si è protratto fino all'epoca moderna, né si può dire sia del tutto tramontato neppure ai nostri giorni. Si credeva nelle facoltà miracolose delle reliquie e si tribuiva loro una serie di pratiche religiose dopo il trasporto, a volte, dal leggendario Oriente in maniera che aveva del favoloso.
Capelli, denti, ossa di santi erano i resti più apprezzati, ma erano disegnatianche brandelli di stoffa tratti dai vestiti indossati dai personaggi religiosi più in vista. Nessuna reliquia poteva però essere messa a confronto con la vera Croce, la più preziosa tra le memorie santificate da Cristo. Una collezione di reliquie in cui mancasse una scaglia della Croce per eccellenza, scadeva nella considerazione e nella valutazione, perchè costituiva in Europa un vero e proprio veicolo di proselitismo (è l'opera di chi cerca di fare dei proseliti, ovvero cerca di convertire o coinvolgere altri individui a una certa religione o altra dottrina).
Comprensibile perciò fu la devozione loro dedicata e l'interesse prodigato a tutto il 1742 dal parroco Francesco Martinelli per ottenere l'autorizzazione a togliere le anzidette reliquie dalle antiche custodie rovinate dal tempo e racchiuderle in sei reliquiari in legno, adorni di lamine d'argento.
Punto di riferimento era sempre la chiesa di S. Croce, per un migliore funzionamento della quale il card. Federico Borromeo emanò, nel 1610, una serie di decreti, dopo la visita di don Carlo Andrea Basso, prevosto di Angera e vicario foraneo, per l'integrazione della suppellettile, per una migliore conservazione delle reliquie, per il trasporto del battistero dalla vecchia parrocchiale di S. Bernardino, per dotazione decorosa degli altari.
In S. Croce meglio risulta l'arte pittorica di Montanari e Morgari, che hanno trasformato in «una gloria di colori e di figlure la cupola e le volte già desolatamente squallide» della chiesa, cantando «attraverso la musica meravigliosa dei colori e delle artistiche che loro concezioni il poema divino della Croce, alla cue esaltazione la Parrocchia è consacrata».
Merita inoltre di essere ricordata l'operazione altare trasportato durante l'ampliamento della chiesa, avvenuto nel 1959. La parte mensa è stata staccata dal corpo principale ed è stata completata, dopo la riforma liturgica, in modo da formare un corpo unico con altri marmi, in gradevole accostamento di toni grigi e rosa antico. Infine non si può dimenticare tutta l'opera di restauro attuata, nel 1982, con particolari accorgimenti tecnici da parte di Pietro Vignala, in modo da dare smalto e lucentezza alle cornici lasciate nella for-ma originaria. Prospetticamente rivolti al richiamo della croce, tutti i personaggi delle varie composizioni evidenziano profonda spiritualità, al cui risalto giova il gusto di forme drammatiche concepite, robustamente costruite in una cupa atmosfera, che non attenua la ricchezza della stanza cromatica, anzi la rende più risaltante.